Emanuele Artom - 25.03.1944

Partigiano e giovane storico italiano di origine ebraica
25.03.1944 data di arresto, 28 anni


Si iscrive all’Università degli Studi di Torino alla facoltà di lettere nell'autunno del 1933; nel 1937 si laurea a pieni voti sotto la guida di Mario Attilio Levi.
Insieme al fratello Ennio negli anni dell’università organizza un circolo culturale ebraico, a cui partecipano molti giovani ebrei torinesi, che colpiti dalla persecuzione razziale iniziano ad indagare sul senso della propria identità ebraica ed appartenenza e a ragionare di politica e antifascismo. Tra essi vi sono Annamaria e Primo Levi, Giorgio Segre, Franco Momigliano, Luciana Nissim, Vanda Maestro.
A causa della sempre più crescente minaccia antisemita, tra novembre e dicembre del 1942 si trasferisce a Moriondo, a una decina di chilometri da Chiari, dove gli Artom hanno una piccola casa.
Si avvicina all'antifascismo e all'attivismo politico alla fine degli anni trenta; il 09/09/1943 si iscrive al Partito d'Azione. All'indomani dell'8 settembre si unisce ai partigiani e per un primo periodo agisce in qualità di delegato azionista nella formazione garibaldina comandata da Pompeo Colajanni.
Tra il gennaio del 1940 e febbraio del 1944 Artom tiene un diario in cui racconta la sua esperienza di crescita come uomo, antifascista e partigiano.
Nel gennaio del 1944 rientra tra gli azionisti della Val Pellice, dove ricopre la carica di Commissario Politico.
Nel diario emergono tutte le spaccature e le difficoltà dovute all’accostamento tra le correnti del Partito d’Azione e i comunisti delle brigate garibaldine, benché uniti nella lotta contro fascisti e tedeschi.
Le pagine sono costellate da lucide osservazioni sulla vita del partigiano e del suo ruolo di Commissario Politico e da uno sguardo lungimirante su ciò che sarà necessario per ricostruire il paese. Emanuele si interroga sull’interpretazione storiografica che in futuro si farà del movimento partigiano, anche a partire dai suoi stessi scritti, della cui bontà e utilità più volte si preoccupa, domandandosi se e come saranno letti.
«[...] siamo quello che siamo: un complesso di individui in parte disinteressati e in buona fede, in parte attivisti politici, in parte soldati sbandati che temono le deportazioni in Germania, in parte spinti dal desiderio di avventura, in parte da quello di rapina. Gli uomini sono uomini. Bisogna cercare di renderli migliori e a questo scopo per prima cosa giudicarli con spregiudicato e indulgente pessimismo. In quasi tutte le mie azioni sento un elemento più o meno forte di interesse personale, egoismo, viltà, calcolo, ambizione, perché non dovrei cercarlo anche in quelle degli altri? Perché ritrovandolo dovrei condannarlo severamente?».
Il 01/12/1943 apprende dalla signora Segre che il Giornale Radio ha annunciato altri provvedimenti antisemiti: tutti gli ebrei saranno condotti in campo di concentramento, i loro beni confiscati a favore dei sinistrati. Emanuele si domanda che cosa ne sarà della sua famiglia e aggiunge che se non avrà più modo di rivedere i genitori chiederà di essere mandato in una missione tale da essere ucciso.
Il giorno dopo alla stazione ferroviaria di Barge nota un manifesto per l'arruolamento nella milizia Fascista. Poiché tra i requisiti richiesti era inclusa una moralità ineccepibile, Emanuele scrive accanto a questo requisito “in questo caso, non ci si arruola nella Milizia”.
Diventa Commissario Politico delle Formazioni di Giustizia e Libertà della Val Pellice e della Val Germanasca, passando di banda in banda, partecipando ad azioni pericolose e a lunghe marce.
L’esperienza lo conduce a maturare in molti modi; Emanuele è un giovane “tutta testa”, ma impara ad adeguarsi alle nuove condizioni che la vita partigiana richiede: «[...] ho fatto una scoperta e cioè che se ci si dà da fare nei lavori pratici, ci si rende molto più simpatici alla gente, che apprezza anche di più le qualità intellettuali. Se non si sa far niente, o non se ne ha voglia, i manovali restano molto malignamente soddisfatti».
Nonostante la sua costituzione fisica poco adatta ai disagi della vita partigiana, d'inverno in montagna è infaticabile nel visitare le varie bande per portare la sua parola volta a incoraggiare i partigiani, spesso restii ai discorsi, e per spiegare loro le ragioni e gli scopi di una lotta non solo di liberazione, ma anche di rinnovamento democratico; durante gli spostamenti, inoltre, consegna somme di denaro e provviste come indennizzo ai combattenti e ai civili.
Il 20 dicembre 1943, nonostante l’inesperienza in campo militare, partecipa a un’incursione a Cavour per impedire l’arruolamento dei giovani nati nel 1924 e nel 1925. Dopo lo scontro a fuoco con i fascisti a presidio, Emanuele recupera un’automobile delle milizie fasciste con mitragliatrice e molte munizioni e, aiutato dalla popolazione ad avviare il mezzo, si dà alla fuga. In seguito l’azione termina con un assalto ad un’automobile tedesca che era passata esplodendo qualche colpo e al cui interno trovano 2 milioni di lire nuove di zecca.
Nella pagina del 26 dicembre scrive: «Ho lavorato molto e la mia opera è apprezzata [...] Ma come rappresentare questa vitaccia? Camminare mattina e sera coi piedi che fanno male in mezzo alle pietre e al fango. Avere cento pensieri complicati di appuntamenti, di impegni, di conti di denaro, stare sempre agitati come selvaggina che può essere colta di sorpresa».
Il 21 marzo 1944 i tedeschi cominciano il grande rastrellamento contro i partigiani della zona.
Il 25 marzo Emanuele, che si trova in compagnia di Franco Momigliano, Ugo Sacerdote, Gustavo Malan e Ruggero Levi, è raggiunto da una pattuglia di SS italiane: Franco, Ugo e gli altri riescono a fuggire mentre Emanuele, sfinito, si lascia prendere. Insieme a lui viene catturato un altro giovane partigiano torinese, Ruggero Levi, fermatosi appositamente per stare vicino al compagno e maestro.
Scoperto come ebreo e commissario politico, viene torturato e subisce indicibili sevizie. Caricato a forza sul dorso di un mulo, una scopa sotto il braccio, un cappellaccio in testa e il volto tumefatto, viene fotografato ed esibito come un trofeo di guerra. L'immagine appare sul settimanale bilingue Der Adler, diffuso in Italia, con la dicitura: “bandito ebreo catturato”.
Il 31 marzo, con altri catturati Emanuele è trasferito alle Carceri Nuove di Torino, dove una settimana dopo, il 7 aprile muore a seguito delle torture subite. Due suoi compagni furono costretti a seppellirlo in fretta, nel corso della notte, sulle rive del torrente Sangone.
Nonostante tutti gli sforzi e le ricerche fatte alla fine della guerra il suo corpo non è mai stato ritrovato.