Luisa Levi - 17.11.1938

Neuropsichiatra infantile italiana di origine ebraica
17.11.1938 ultimo giorno in cui si trova a Grugliasco, prima di fuggire, 40 anni


Sorella del celebre Carlo, nel 1914, su suggerimento di uno zio materno, si iscrive alla facoltà di medicina di Torino senza alcuna obiezione da parte dei genitori. Nel suo primo anno di corso stringe amicizia con l’altra unica donna frequentante, Marie Coda.
L’8 luglio del 1920 consegue la laurea in medicina con il massimo dei voti e la lode. Studentessa brillante ed esemplare ha ottenuto premi per le massime votazioni conseguite negli esami speciali e nella discussione della laurea.
Subito dopo la laurea entra come assistente volontaria nella clinica neuropatologica universitaria di Torino dove vi rimane fino al 1928, eseguendo ricerche originali che pubblica su riviste nazionali e internazionali, nonché frequentando i congressi specialistici.
La sua carriera professionale la porta ad occuparsi di neuropatologie, poi di neuropsichiatria infantile e infine di seguire la sua passione per la psichiatria a Parigi, dove nel 1927 si reca per perfezionarsi sia in malattie mentali, sia in malattie nervose. Durante l’esperienza della “scuola francese” di psichiatria, che resterà comunque la sua principale fonte di formazione, Luisa ne approfitta per riabbracciare lo zio Claudio Treves, leader insieme a Turati della corrente riformista del socialismo italiano e, dal 1926, profugo a Parigi come molti altri antifascisti.
Nonostante l’ottima preparazione e i brillanti risultati, Luisa Levi incontra difficoltà a essere assunta negli ospedali psichiatrici dove desidera lavorare: «presentavo i miei titoli a parecchi concorsi, concorsi per medico di Ospedale psichiatrico. Dichiarata prima a pari merito, veniva poi sempre nominato il collega maschio».
Dopo diversi altri concorsi dove pur classificata prima le viene preferito un candidato di sesso maschile, nel febbraio del 1930 entra con regolare concorso agli ospedali psichiatrici di Torino. La Levi, che aveva per così dire respirato l’aria della psichiatria parigina, si scontra con i metodi repressivi e il nichilismo terapeutico cui è improntato l’istituto italiano: «orgogliosa dei miei studi moderni, soffrivo gravemente per la inumanità e la rozzezza di questi trattamenti, che erano la diretta dimostrazione della ignoranza di chi dirigeva la Casa e credeva di evitare a se stesso disturbi o responsabilità in caso di incidenti».
Finalmente nel 1932 riesce a essere accettata alla Casa di Grugliasco dove lavoravano «giovani psichiatri animati da idee meno antiquate».
All’ospedale di Grugliasco Luisa resterà fino al 17 novembre 1938; poco dopo l’applicazione delle leggi razziali, nel gennaio del 1939 viene licenziata insieme ad altri tre colleghi ebrei.
Nel settembre del 1939 il fratello Carlo, medico anch’egli ma pittore e scrittore (è il celebre autore del libro Cristo si è fermato a Eboli) deve riparare all’estero per motivi politici. Dopo l’8 settembre quando le condizioni degli ebrei si fanno ancora più difficili e pericolose, Luisa si rifugia con la madre Annetta a Torrazzo Biellese dove vive sotto falso nome ben accolta dalla popolazione. Qui «presentata dal comitato femminile di Ivrea» comincia a collaborare attivamente come medico della 76 Brigata Garibaldi e impartisce lezioni di pronto soccorso alle staffette.
Negli anni del secondo dopoguerra Luisa continua nel suo impegno scientifico e politico: vicina nel periodo clandestino al Partito d’Azione e a Giustizia e Libertà, dopo il 1953 si iscrive alla sezione del PSI Matteotti di Torino.
È suo il primo libro di educazione sessuale del dopoguerra (L’educazione sessuale: orientamenti per i genitori), pubblicato nel 1962. In quegli anni continua a dedicarsi alla neuropsichiatria infantile in cui ha conseguito la libera docenza con una tesi sulle alterazioni della scrittura nei bambini anormali pubblicata nel 1955 su Infanzia anormale.
Muore nella sua Torino nel dicembre del 1983.