Psicoanalista italiana di origine ebraica
20.07.1943 data di laurea, 24 anni
13.12.1943 data di arresto
Luciana sta seguendo le lezioni del primo anno quando nel 1938 vengono emanate le leggi razziali: i ragazzi ebrei non possono più frequentare le scuole pubbliche, ma viene consentito a quelli già iscritti all’università di continuare i propri studi fino al conseguimento della laurea. Tuttavia c’è una clausola discriminatoria: dovranno essere sempre in regola con gli esami, pena la perdita al diritto di frequentare e alla laurea.
Riesce comunque a completare la sua formazione e a laurearsi in medicina il 20 luglio del 1943.
Durante gli anni dell’università e dopo la laurea frequenta un gruppo di giovani ebrei antifascisti.
Il gruppo si riunisce nella biblioteca della scuola elementare ebraica di Torino per discutere di politica, progettare la resistenza al fascismo o l’emigrazione in Palestina. Tra loro: Franco Momigliano, Primo Levi, Giorgio Diena, Emanuele ed Ennio Artom, Livio Norzi, Giorgio Lattes e Alberto Salmoni.
È a Courmayeur, mentre insieme all’amica Vanda Maestro sta trascorrendo una vacanza premio per la laurea appena conseguita, quando apprende delle dimissioni di Mussolini.
È il 25 luglio del 1943. Luciana torna felice a Torino, ma la gioia è breve: al posto di Mussolini arriva Badoglio e la guerra continua. L’8 settembre, quando l’Italia si arrende agli alleati e il paese viene occupato dai tedeschi, la famiglia Nissim deve mettersi in salvo.
Insieme ai famigliari Luciana si rifugia in un paesino della Val d’Aosta, Brusson, dove, tra i tanti lì riparati, ritrova l’amico torinese Primo Levi. Con lui, Vanda Maestro e altri due comuni amici, si unisce a «un gruppetto di ex militari che si stava raccogliendo per cominciare la resistenza contro i tedeschi» e che, nel settembre del 1943, avevano deciso di lasciare il capoluogo piemontese per Amay tra le montagne della Val d’Aosta, dove raggiungono le prime formazioni partigiane.
Nella notte tra il 12 e il 13 dicembre, messi sulle tracce del gruppo partigiano da un delatore, le milizie fasciste guidate dal comandante Ferro iniziano un rastrellamento che porta all’arresto di molti uomini tra cui anche il gruppo dei giovani torinesi. Passato un mese nel carcere di Aosta, dove rifiuta l’aiuto del comandante, che le propone di fuggire - «E io con la retorica del caso», ricorda, «risposi: “Con un fascista giammai!”» - Luciana viene tradotta nel campo di Fossoli.
Di lì, il 22 febbraio del 1944, parte con un convoglio di circa seicento persone con destinazione Auschwitz. Vi giungerà il 26 di febbraio. In Una famiglia ebraica tra le due guerre - dichiara: «Prima di uscire dall’Italia, al Brennero, gettai dalla feritoia del mio vagone due biglietti indirizzati a degli amici di Biella e a un mio ex compagno di Università, in cui dicevo che ci stavano deportando, e li salutavo per l’ultima volta… Questi biglietti furono raccolti da qualcuno e spediti, e raggiunsero i loro destinatari».
Insieme a lei in quel tragico viaggio sono gli amici Primo Levi, Vanda Maestro e Franco Sacerdoti; solo Luciana e Primo torneranno.
Uno dei biglietti, che reca la data del 21 febbraio 1944, raggiunge l’amica Bianca Guidetti Serra, la quale testimonia che nel messaggio non vi era nulla che facesse riferimento alla deportazione, ma c’era un senso di addio, di una rottura drammatica e definitiva e l’immagine a parole di una “fiamma”, di una “fiaccola” da affidare agli amici.
È proprio grazie alla laurea in medicina che la Nissim godrà ad Auschwitz di una situazione di relativo privilegio: in quanto medico vivrà in condizioni materiali diverse dagli altri internati. Al momento della rasatura si è fatta suggerire da una compagna una sola frase in tedesco che riesce tempestivamente a pronunciare: «Ich bin Ärztin» - sono dottoressa in medicina: la rasatura si interrompe e viene così assegnata alla infermeria del campo. Luciana è tra i pochissimi privilegiati a poter girare per il campo avendo ancora i capelli.
La sua condizione di medico le permetterà di vivere in condizioni relativamente migliori e di godere di un po’ di libertà. Ogni giorno ha la possibilità di raggiungere e confortare Vanda e le altre italiane presenti nel vicino lager B.
Dopo il periodo all’infermeria del campo, Luciana passa a quella di un campo di lavoro (una fabbrica di munizioni) a Hessisch-Lichtenau vicino a Kassel. Il giorno prima della partenza va a salutare l’amica la quale, già in difficili condizioni di salute, le domanda: “Se io morirò e tu un giorno avrai una famiglia, la chiamerai Vanda la tua bambina?” Luciana promette.
Mentre gli americani avanzano, nell’aprile del 1945 riesce a fuggire.
Rientrerà in Italia solo nel luglio del 1945 all’annuncio del governo Parri. L’amica Vanda è morta, nell’ottobre del 1944, in una delle ultime selezioni effettuate a Birkenau; Luciana tiene fede alla parola data: ma la sua Vanda morirà nell’estate del 1947 durante il parto in cui lei stessa rischia di perdere la vita.
Nel novembre del 1946 si sposa con Franco Momigliano, il giovane cui era legata prima della deportazione con il quale avrà un secondo figlio, Alberto.
Due mesi dopo il suo ritorno in Italia, Luciana Nissim entra nella clinica pediatrica di Torino. Sull’esperienza nel campo di concentramento di Auschwitz pubblica subito, nel 1946, il libro Donne contro il mostro. Il racconto di Luciana porta il titolo dostoevskijano Ricordi della casa dei morti: è uno dei primi scritti sulla realtà dei campi nazisti, seguito nel 1947 dal più celebre Se questo è un uomo dell’amico Primo Levi.
Il lavoro come pediatra rappresenterà il «modo più reale» di onorare la vita e, in particolare, di mantenere viva la memoria dei tanti bambini che la guerra hitleriana ha distrutto senza pietà.
Trasferitasi a Milano si avvicina alla psicoanalisi e nel 1965 diviene membro associato della Società Psicoanalitica Italiana e nel 1978 analista didatta. La sua impostazione, clinica e teorica, è di stampo kleiniano, ma pian piano Luciana Nissim ne abbandona alcuni concetti e interpretazioni; la sua attenzione si sposta sulla mente dell’analista e sull’ascolto del paziente: a partire dalla propria esperienza terapeutica la Nissim ha elaborato nuovi aspetti tecnici, centrati su quello che chiama semplicemente il “dialogo analitico”.
Muore a Milano il 1° dicembre del 1998.